Legge regionale contro l’omotransnegatività: un ragionamento di merito e alcune domande
Prendendo atto dello stallo in cui è precipitata la legge regionale contro l’omotransnegatività e soprattutto alla luce del lungo articolo pubblicato due giorni fa sul proprio sito dal consigliere regionale Giuseppe Paruolo (http://giuseppeparuolo.it/2019/04/24/maternita-surrogata-emendamenti/), uno dei firmatari dell’emendamento che ha provocato l’empasse, abbiamo deciso di prendere la parola collettivamente per dare alcuni chiarimenti e porgere alcune domande, nella speranza che la responsabilità legata ai ruoli di rappresentanza spinga le persone interessate al dovere di fornire delle risposte.
- L’omotransnegatività
Innanzitutto la legge contro l’omotransnegatività trae il suo nome da alcune osservazioni di carattere scientifico. Per spiegarle vogliamo fare un esempio: pochi giorni fa, davanti a una discoteca bolognese, due ragazzi sono stati aggrediti, prima verbalmente e poi fisicamente, con chiaro intento omofobico e transfobico. “Froci“, “dammi il tuo numero che ti inculo“, “avete il cazzo o la figa“. E via dicendo. Nel racconto dei due ragazzi colpisce il fatto che all’aggressione abbiano assistito senza battere ciglio diversi adulti che stavano consumando al bar attiguo. Uno di loro addirittura si sarebbe alzato e avrebbe contribuito con un paio di schiaffoni al pestaggio, per poi tornare a sedersi. L’omofobia insomma non è un fenomeno isolato, ma trae spunto, sostegno e perfino legittimazione da alcuni fattori ambientali. Lo spiegava bene Margherita Graglia, psicologa e psicoterapeuta citata anche dal consigliere Parolo, in un intervento pubblicato da Repubblica Bologna quasi un anno fa: “Come è stato dimostrato la contrarietà nei confronti delle persone LGBT origina non da una variabile intrapsichica, bensì da un pregiudizio socialmente costruito e da pratiche sociali e istituzionali inique. Sono i processi culturali che creano rappresentazioni negative delle identità LGBT e sono le pratiche sociali indifferenti alle differenze a produrre delle diseguaglianze. Per questo motivo la parola “omofobia” risulta inadeguata. Inoltre questo termine si focalizza unicamente sull’emozione della paura e non contempla altre reazioni possibili come il disgusto, la rabbia o ancora non prende in considerazione che pregiudizi o atteggiamenti di contrarietà possono essere semplicemente il risultato dell’assenza di informazioni accurate e della poca familiarità con le persone LGBT. Una legge regionale contribuirebbe proprio a contrastare i processi socioculturali che attribuiscono un valore negativo alle identità LGBT, rafforzando la cultura del rispetto.”.
Insomma: non si tratta soltanto di intervenire sull’educazione dei ragazzi affinché non pestino gli omosessuali all’uscita delle discoteche, si tratta di insegnare a tutto il contesto attorno che picchiare un gay, in quanto gay, è sbagliato. Così come è sbagliato negargli un appartamento o percorsi sanitari peculiari, o imporgli demansionamenti sul lavoro e via discorrendo. Si tratta, spiega Graglia, di rafforzare la cultura del rispetto. E infatti la legge regionale non sanziona nulla, punta sulla formazione e sulla cultura, sulla prevenzione. Perché altro la Regione non può fare. Ed è per questo che l’argomento “piuttosto facciamo una legge nazionale” che abbiamo sentito nei giorni scorsi usare da esponenti democratici è ignorante (nel senso etimologico) e inconsistente. Sono due leggi completamente diverse.
- L’emendamento anti gpa
Arriviamo all’emendamento della discordia, cioè quello che ha per primo firmatario il consigliere Giuseppe Boschini e che viene sottoscritto dai democratici Giuseppe Paruolo, Ottavia Soncini, Gian Luigi Molinari, Manuela Rontini, Giorgio Pruccoli, Katia Tarasconi, Paolo Zoffoli e Alessandro Cardinali, assieme a Giancarlo Tagliaferri (Fratelli d’Italia), Michele Facci (Movimento nazionale per la sovranità), Daniele Marchetti (Lega), Andrea Liverani (Lega) e Andrea Galli (Forza Italia).
L’emendamento – questa è la prima stranezza – modifica in realtà un’altra legge, cioè quella n. 6 del 2014, la cosiddetta legge di parità. “Per dare valenza globale al principio”, dice Paruolo. Ma questo è già il primo aspetto irrituale: perché quella modifica sta scritta in calce alla legge contro l’omotransfobia (che non parla nemmeno lontanamente di procreazione assistita) e non è un’istanza autonoma? Paruolo ci spiega che serve a definire il recinto della discriminazione (e su questo torneremo in seguito) ma anche un’istanza autonoma avrebbe avuto lo stesso effetto, essendo, se approvata, vigente come tutte le altre norme regionali. Il motivo per cui viene inserita in un emendamento serve evidentemente a porre un Aut Aut: con quell’emendamento (firmato da 9 consiglieri del Partito Democratico ) si vuole tenere in ostaggio l’intera maggioranza. O così o niente. Una prova di forza tra correnti di partito, un ricatto, un modo attraverso il quale una minoranza impone la sua dittatura. E infatti i firmatari (in gran parte muti) tacciono proprio tutti e tutte su un punto: ma senza quell’emendamento la legge loro la voterebbero? Su questo sarebbe onesto che i rappresentanti dei cittadini della nostra regione dicessero una parola chiara: sì o no.
E cosa dice l’emendamento? In sostanza fa due cose: la prima è stigmatizzare come “lesive della dignità delle donne” una serie di pratiche, tra cui la gestazione per altri. Primo aspetto: questo elenco contiene lampanti lacune. Una tra tutte: nel 2017 l’allora ministra alla Salute Beatrice Lorenzin dava notizia in un question time del dato di aborti clandestini registrati in Italia, secondo l’ultima rilevazione disponibile (datata 2012 e realizzata dall’Istituto Superiore di Sanità). Si parla di un numero tra i 12.000 e i 15.000 casi all’anno, per le donne italiane, e tra i 3000 e i 5000 casi per le donne straniere. Insomma, quasi 20mila donne ogni anno nel nostro Paese rischiano la propria vita – e subiscono un grave calvario – perché viene negato loro l’accesso all’interruzione di gravidanza, sicura e gratuita, così come previsto dalla legge 194 del nostro Stato. Questa non è una lesione della dignità della donna? Secondo i nove consiglieri democratici no. Ma lo è la gpa. Che è illegale, certo. Ma che si vuole definire anche antietica e immorale. Perché? Perché così, anche se si accede a quella pratica in un Paese in cui è legale, resta antietica e immorale. E se lo mettiamo nero su bianco su una legge forniamo elementi di problematizzazione alle recenti sentenze delle alte corti, nazionali e internazionali (l’ultima è di pochi giorni fa: https://www.corriere.it/cronache/19_aprile_10/maternita-surrogata-corte-europea-riconoscere-figli-nati-all-estero-la-gpa-58e12f46-5b87-11e9-ba57-a3df5eacbd16.shtml). Sentenze che lo stesso Paruolo ricorda, con malcelato fastidio. Immaginiamoci poi che uso potrebbe essere fatto di questo comma – e di tutto ciò che segue – qualora in Regione o nei Comuni della regione vincesse la destra.
Ma l’emendamento – già fin qui inaccettabile – ha una seconda parte, che ha dell’incredibile: si dice che i soggetti che promuovono (o “fiancheggiano”, aggiunge Paruolo), quelle pratiche, perdono tutti i finanziamenti regionali, anche retroattivamente. Attenzione: i soggetti, non i progetti.
Questo aspetto merita un attento approfondimento. In che modo associazioni o enti possono promuovere o fiancheggiare la gestazione per altri? Nel suo articolo Paruolo cita una serie di annunci commerciali sulla gpa disponibili sul web. Nessuno di questi annunci – questo non lo dice, forse se n’è dimenticato, ma lo diciamo noi – è riconducibile a un’associazione lgbti italiana o a un’associazione o ente italiano in genere. Perché sarebbe reato: così stabilisce la legge 40.
Ma allora cosa si intende? Paruolo insiste sottolineando il piano “culturale” e cita un solo esempio: un manuale in cui si parla di gestazione per altri, realizzato non da un’associazione ma da un’istituzione (la Regione stessa), con un linguaggio neutro che, a detta del consigliere, la legittimerebbe. Ma allora cos’è che non possono fare le associazioni o gli altri enti finanziati dalla Regione? Innanzitutto manuali come quelli, ma non solo. Facciamo un esempio: nei teatri della regione (pubblici e privati, tutti finanziati dalla Regione) è andato in scena tra il 2016 e il 2017 uno spettacolo dal titolo “Geppetto e Geppetto” di Tindaro Granata. Un’opera acclamata da pubblico e critica, che ha fatto decine e decine di repliche in tutto il Paese. Uno spettacolo che parla di gpa. La promuove? Secondo la visione di Paruolo indubbiamente sì. Quindi tutti i teatri o le associazioni della regione che volessero portarlo in scena non solo non potrebbero usare i fondi regionali per farlo ma perderebbero tutti i finanziamenti regionali, anche retroattivamente. Una censura preventiva operata attraverso un’intimidazione bella e buona: se parli, ti tolgo tutto. L’obiettivo è far sparire quegli spettacoli dai teatri, e allo stesso modo i documentari, i film, i convegni. Su tutto la spada di Damocle: se lo fai, ti rovino. Nemmeno le destre più fanatiche sono mai arrivate a tanto. In Emilia-Romagna ci stanno provando 9 consiglieri del Partito Democratico (ribadiamo i nomi: Giuseppe Boschini, Giuseppe Paruolo, Ottavia Soncini, Gian Luigi Molinari, Manuela Rontini, Giorgio Pruccoli, Katia Tarasconi, Paolo Zoffoli e Alessandro Cardinali), cioè una minoranza, che però attraverso l’aut Aut di cui abbiamo parlato prima, tiene in scacco tutta la maggioranza. Paruolo nella sua lunga spiegazione dice anche altro: ad esempio dice che lui in quell’emendamento, quando si elencano le pratiche “lesive della dignità della donna”, avrebbe voluto scrivere “prostituzione” e non “sfruttamento della prostituzione”, come è scritto. Va ricordato che la legge Merlin vieta lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione, non la prostituzione in sé. E Paruolo cita anche un convegno per la criminalizzazione della prostituzione in cui era coinvolto e dal quale il Comune di Bologna pretese il ritiro del logo, non essendo mai stato concesso dall’assessorato competente (su questo il consigliere fornisce una ricostruzione abbastanza distorta). L’idea di Paruolo era quindi quella non solo di promuovere la posizione che criminalizza la prostituzione, ma di mettere il bavaglio a tutte le altre: se parli, ti tolgo tutto. Anche se quello che dici è perfettamente in linea con le leggi vigenti. Se parli di prostituzione, se fai vedere un documentario, se organizzi un convegno, se mostri un film o uno spettacolo teatrale, ti tolgo tutto. Anzi: mi rendi anche tutto quello che ti ho dato in passato (e che hai presumibilmente già speso).
Sia ben chiaro: è legittimo che Paruolo e gli altri otto consiglieri abbiano una posizione proibizionista sulla gpa e sulla prostituzione. Ma in democrazia le idee diverse si confrontano e si misurano con la scala del consenso. Quando invece si tenta di vietare a priori l’espressione di posizioni diverse, esiste una sola parola: FASCISMO.
È questo che vogliono fare nove consiglieri del Partito Democratico?
- Il retroscena
Ogni dibattito politico ha i suoi retroscena: a volte fanno solo colore, altre volte forniscono chiavi di lettura illuminanti. Sulla legge regionale contro l’omotransfobia c’è un retroscena che circola da mesi in maniera martellante. Parla di un incontro privato tra la portavoce dell’Acli bolognese, capofila di un appello contro la legge, e due consiglieri del Partito Democratico, il capogruppo Stefano Caliandro e il segretario Paolo Calvano. In quell’incontro l’Acli provinciale avrebbe ricevuto due rassicurazioni: o la legge non si fa, oppure conterrà la stigmatizzazione della gpa. Magari, aggiungiamo noi, talmente inaccettabile da far dire “meglio nessuna legge”. Così le Acli sono accontentate e nessuno si è sporcato le mani. Anzi, magari sono state proprio le stesse associazioni lgbti a chiederlo. Meglio di così?
Posto che resta un mistero il motivo per cui un pezzo di mondo cattolico dovrebbe opporsi con tanta veemenza a una legge di prevenzione e contrasto dei crimini d’odio (proprio mentre l’odio fa stragi – anche di cattolici – in ogni parte del mondo), questa “voce insistente”, in giro da mesi, ha alcune caratteristiche inquietanti. La prima è che si sta avverando, in maniera pedissequa. La seconda è che le Acli improvvisamente si sono chiuse nel silenzio, e se un mese fa lanciavano appelli quotidiani contro la legge, oggi si astengono perfino dall’intervenire nel dibattito pubblico. Fino a pochi giorni fa, quando la portavoce dell’Acli, al termine di un dibattito sulle elezioni europee che aveva toccato molti temi, condivideva sui social media – con soddisfazione, evidentemente – una sola dichiarazione, attribuita alla democratica Francesca Puglisi: “piuttosto che una cattiva legge regionale (sulla omotransnegatività, n.d.r.) meglio nessuna legge regionale. E questo a fronte dei contrasti e delle divisioni interne che ci sono state”. Che suona un po’ come un messaggio rivolto alla sua comunità di riferimento: “Visto? Ce l’abbiamo fatta”.
Ovviamente i retroscena, quando non possono contare su prove concrete, vanno tutti verificati. Perciò chiediamo, semplicemente: tutto questo è vero? Se non lo fosse il Partito Democratico avrebbe una strada facile per smentire questa storia: approvare subito una buona legge, senza quell’emendamento e in barba alle malelingue. Oppure potremmo fidarci delle risposte che arriveranno dalla stessa Acli di Bologna, perché sappiamo che la “falsa testimonianza” infrange uno dei comandamenti, la “legge di Dio”. Potrà mai l’Acli raccontare bugie?
Vincenzo Branà – presidente Arcigay “Il Cassero” – Bologna
Chiara Calestani – associazione LGBTI “Aldo Braibanti” – Parma
Eva Croce – presidente Arcigay Ferrara
Ciro Di Maio – presidente Arcigay Ravenna
Francesco Donini – presidente Arcigay “Matthew Shepard” – Modena
Alberto Nicolini – presidente Arcigay “Gioconda” – Reggio Emilia
Marco Tonti – presidente Arcigay Rimini “Alan Turing”
Ps. Va detto che mentre si vocifera di un incontro tra Caliandro e Calvano e le Acli, le associazioni lgbti ancora attendono l’appuntamento promesso quasi un anno fa sempre da Calvano e Caliandro. Evidentemente ci sanno pazienti ma forse, in questo, un po’ ci sopravvalutano.